giovedì 19 novembre 2015

Denuncia di una molestia fatta da Chi ti ha negato a noi che di nuovo urleremmo CAPITANO, MIO CAPITANO

Mi rendo conto che ora non posso più raggiungerti. 
Non c'è alcun procedimento che io possa escogitare per arrivare fino a te, ma non posso smettere di parlarti. 
Soprattutto ORA. 
Ora, che sento cento anni sulle spalle e cento altri nella testa, ora che iniziano ad annebbiarsi i ricordi e a morire le sensazioni, ora che non mi è più concesso rimediare.
Sono stato scaraventato fuori da un limbo protetto, equilibrato, dove dietro ogni rapporto costretto dalle circostanze, si celava un abisso di insegnamenti più o meno consapevoli che mi spronavano, mi svegliavano e ri-svegliavano. E se tempo fa riemergevano quasi spontanee le tracce di ciò che sei e che io credevo di custodire preziosamente, oggi so di aver mancato: con enorme fatica raggiungo quegli amori rari con cui ti portavo alle persone, attraverso cui hanno imparato a percepirti e ad ammirarti. 

Mi hai insegnato ad amare il Bello, ad esserne cultore, ad immergermi completamente in questa forma di piacere, che ti riempie fino all'orlo.
La Bellezza di un giorno autunnale. 

La Bellezza di una lezione che esca, irrompente, dai canoni che l'hanno da sempre imprigionata.
La Bellezza del sapere, del conoscere, del porsi domande, limiti per poi cercare con ogni foga possibile di superarli. Spesso atterrando con il piede sbagliato, inciampando, spesso accorgendosi di essere sempre fermi allo stesso punto, di girare in tondo all'infinito.
La Bellezza dell'amore, di quello autentico, terso ma anche di quello sudicio e lurido straziato da mille condimenti e mille passioni. 

La Bellezza pura delle parole, di singole lettere, che solo attraverso la loro forma trasformano un battito in una connessione. 
La Bellezza del guardarsi dentro ma soprattutto attraverso: mi hai spinto a non dubitare delle mie sofferenze a percepirle una ad una fino in fondo, aggrappandomici ed imparando a conoscerle, perché per quanto l'esistenza del mondo intero cada a pezzi e per quanto i patimenti di altri siano enormi in confronto ai nostri, c'è un momento della vita in cui ci si deve fermare inevitabilmente e concederle tempo, e subito dopo ricominciare da capo, e fluire verso.
La Bellezza dell'intimità personale, profondamente preziosa. Solo a determinate persone e solo per volere di chi la possiede, può essere svelata; la magnificenza di ciò che prova un soggetto nudo, costretto ad esserlo davanti ad altri individui, senza imbarazzo, disagio o turbamento.
La Bellezza della Semplicità. Quella forma così decantata ma davvero poco conosciuta, che si eclissa consapevolmente dietro ciò che i più definiscono banalità, normalità, inconsistenze, marginalità insipide, sfigate, ridicole, che escludono ogni forma di divertimento plausibile. Le sfuggono e si sottraggono quasi come fosse una zecca traboccante di vergogna e timidezza, quasi come fosse una peste maledetta e contagiosa che appassisce la vitalità, o quella che considerano tale. Scappano e corrono come se fosse facile riuscire a raggiungerla o ancora meglio farsi raggiungere. Non è dell'uomo questa perla, non ci appartiene, anche se a volte, solo per caso, ci inebria con la sua delicatezza.

Eppure, tutto questo ancora non basta. Ed io so da cosa sono affetto in questi attimi infiniti, che ancorano il mio sguardo a terra e lo comprimono con forza, scoraggiando e straziando anche l'ultimo guizzo verso l'alto.
So che questa crisi alimenta il senso di inconsistenza che mi pervade. La continua, spasmodica ricerca della novità, della dissomiglianza, aderendo compiutamente e paradossalmente ad un'uniformazione corporea ma soprattutto mentale che mi tormenta e mi disgrega pigramente.
Tutto corre e scivola rapido, superficiale. Sono circondato da miriade di contatti, relazioni, ma niente di tutto ciò risulta reale, risulta autentico. Mi sfugge il significato di prendere una posizione, di essere, senza bisogno di apparire, senza bisogno di distinguermi per la spettacolarizzazione di una porzione intima di me. Non sono più in grado di "performar-mi" a me stesso, per me stesso, tutto ruota e gira in funzione di un pubblico, in funzione del fatto che necessito di essere apprezzato, di provocare negli altri godimento, di sentirmi incluso.

Perdonami se ho perso la gara contro il tempo che ha deciso di incarcerare se stesso, perdonami se non ho guardato dritto negli occhi la vita, proprio come l'umile amante, decidendo di prenderne atto solo quando si è allontanata. Perdonami se ho lasciato morire la mia anima, l'insieme di angoli bui e luci accecanti. L'ho fatta cadere lontano da me, senza alcuno sforzo per tentare di salvarla, l'ho cacciata, spinta via, le ho sputato addosso, l'ho negata, come non l'avessi mai incontrata in vita mia, l'ho venduta, calciata, picchiata, molestata, l'ho ridotta ad un pugno di rabbia vuota, attribuendole, poi, ogni colpa. Sono solo un fardello informe, aggrovigliato ed intrappolato in fili dorati; lentamente mi strappano via, mi svuotano di tutto ciò che ero e che potevo essere.

Risvegliami ancora una volta, ti prego, da questo sonno profondo della ragione e dell'animo.  Destami dalla passività insensibile nella quale rovescio ogni motivazione, nella quale mi rovescio per intero. Non lasciare ancora la mia mano esausta, non sono pronto.
Ora sono qui, e non posso smettere di parlarti.
E non troverò parole definitive, e non ti saluterò, lascerò spalancata la via per raggiungerti o semplicemente la speranza di farlo. 



Nessun commento:

Posta un commento