sabato 10 novembre 2007

Quando la banalità

"Quando la banalità cade a ricoprire ogni parola, sai che alzare lo sguardo per cercare un appiglio è come fissare il vuoto e sperare che quel niente non finisca mai. 
Nuoteresti ore e ore nell'instabilità di un nulla che sa di ricordi, ma la paura che tutto possa finire irrigidisce la tua mente e sai solo abbandonare ogni speranza"

giovedì 8 novembre 2007

Finalmente capisco tutto ciò che c'è da capire



Finalmente capisco tutto ciò che c'è da capire. 

 Finalmente aprendo gli occhi non ho paura di vedere il buio, perchè anche se è questo l'unico soggetto   da ammirare, non è da scoprire, non più. Ora ho la chiave; anche se è impossibile conoscere ogni cosa,  io SO di non avere più ostacoli davanti, so che non esistono più segreti. 
Conosco il modo di sconfiggere questo buio, ce l'ho in pugno; eppure
non muovo ciglio, non proferisco verbo, chiudo di nuovo gli occhi come ho sempre fatto, fin da quando il terrore mi mordeva il cuore. Troppo semplice sarebbe uccidere qualcosa che non fa più paura. 

venerdì 21 settembre 2007

My december


"Questo è il mio dicembre
questo è il mio periodo dell'anno
Questo è il mio dicembre
Tutto questo è così chiaro
Questo è il mio dicembre 
Questa è la mia casa coperta di neve 
Questo è il mio dicembre 
questo sono io, da solo

Ed io
desidero solo non pensare 
come se ci fosse qualcosa che ho omesso  
Ed io 
ritiro le cose che ho detto 
per farti sentire così 
Ed io 
desidero solo non sentire 
come se ci fosse qualcosa che ho omesso

Ed io
ritiro le cose che ti ho detto
Ed io darei via tutto 
solamente per avere un posto dove andare 
Darei via tutto 
per avere qualcuno da cui tornare a casa

Questo è il mio dicembre 

Questi sono i miei sogni ricoperti di neve 
Questo sono io che fingo 

Questo è tutto quello di cui ho bisogno Ed io darei via tutto 
solamente per avere un posto dove andare 
Darei via tutto 
per avere qualcuno da cui tornare a casa"



giovedì 20 settembre 2007

I delitti della Rue Morgue




"Le facoltà mentali che definiamo analitiche, sono, di per sé, poco suscettibili di analisi. Le apprezziamo unicamente nei loro effetti. Sappiamo fra l'altro che, per chi le possiede in misura straordinaria, costituiscono sempre una fonte di vivissimo godimento. Come l'uomo forte esulta delle sue doti fisiche, dilettandosi di quegli esercizi che chiamano in causa i suoi muscoli, così l'analista si compiace di quell'attività mentale che DISTRICA. Egli trae piacere da qualsiasi occupazione, anche la più banale, purché metta in azione il suo talento. E' appassionato di enigmi, di rebus, di geroglifici, nel risolvere i quali da prova di ACUMEN che può apparire soprannaturale a un'intelligenza comune. I risultati che egli consegue applicando l'essenza, l'anima stessa del metodo, hanno in realtà tutta l'aria dell'intuizione.
La facoltà di risoluzione è forse molto rinforzata dallo studio della matematica, e in particolar modo dal ramo più nobile di essa che, ingiustamente, e solo a causa del processo a ritroso delle sue operazioni, è stata definita ANALISI, come se lo fosse PER ECCELLENZA. Eppure calcolare non è di per sé analizzare. Un giocatore di scacchi, per esempio, esegue il primo procedimento senza ricorrere al secondo. Ne segue un'interpretazione completamente errata degli effetti che il gioco degli scacchi ha sulla struttura mentale dell'individuo. Non intendo qui scrivere un trattato, ma semplicemente introdurre, con delle osservazioni, fatte molto a casaccio, un racconto un po' strano; colgo quindi l'occasione per sostenere che le facoltà più elevate dell'intelligenza riflessiva sono messe alla prova più a fondo e con maggiore utilità dal gioco più modesto della dama piuttosto che dall'elaborata frivolezza degli scacchi. In quest'ultimo gioco, dove i pezzi si muovono con mosse diverse e BIZZARRE, secondo dei valori vari e variabili, ciò che è soltanto complesso viene scambiato (errore piuttosto comune) per ciò che è profondo.
Si richiede qui la massima capacità d'attenzione. Distrarsi per un attimo significa commettere una svista da cui deriverà un danno o una sconfitta. Poiché le mosse possibili non sono soltanto molteplici, ma anche complesse, le occasioni per simili sviste si moltiplicano, e nove volte su dieci vince la partita non il giocatore più acuto, ma quello che sa maggiormente concentrarsi.
Nel gioco della dama, invece, dove il movimento è UNICO e consente poche variazioni, le probabilità di distrazioni sono minori, e dal momento che la semplice attenzione viene impegnata solo relativamente, i risultati ottenuti da entrambi gli avversari sono attribuibili soltanto a una maggiore dose di ACUMEN. Per toglierci dall'astratto: immaginiamo una partita a dama dove i pezzi siano ridotti a solo quattro dame, e dove naturalmente non ci sia da aspettarsi alcuna svista. E' chiaro che qui la vittoria sarà decisa (dal momento che i giocatori si trovano su un piano di parità) da una mossa ' recherchée ', risultato di un eccezionale sforzo mentale. Non potendo valersi dei consueti stratagemmi, l'analista s'insinua nello spirito dell'avversario, si identifica con esso, e non di rado vede così, a colpo d'occhio, l'unica mossa (a volte assurdamente semplice) mediante la quale può indurlo a commettere un errore o affrettare un calcolo sbagliato.
Da molto tempo si è notata l'influenza che lo ' whist ' esercita su ciò che viene definita capacità di calcolo; e si sa che uomini dotati di eccezionale intelligenza, mentre disdegnavano come frivoli gli scacchi, ricavano da questo gioco un piacere apparentemente inspiegabile. Senza dubbio non c'è nulla del genere che riesca ad impegnare altrettanto profondamente la facoltà dell'analisi. Il miglior giocatore di scacchi della cristianità non sarà nulla di più del miglior giocatore di scacchi; ma il grado di eccellenza nello whist implica una probabilità di successo in tutte quelle imprese tanto più importanti in cui una mente umana si trova a fronteggiarne un'altra. Per grado di eccellenza intendo quella perfezione che presuppone la conoscenza di TUTTI gli espedienti del gioco da cui si possono trarre vantaggi legittimi. Questi non sono soltanto molteplici, ma multiformi, e si celano sovente in abissi di pensiero del tutto impenetrabili all'intelligenza ordinaria. Osservare con attenzione significa ricordare distintamente; e sotto questo aspetto il giocatore di scacchi riuscirà molto bene nello whist perché sa concentrarsi; d'altra parte le regole di Hoyle (basate sul puro e semplice meccanismo del gioco) sono in genere sufficientemente chiare a tutti. Così, avere una memoria incisiva e attenersi al regolamento di gioco sono due requisiti che sembrano definire il buon giocatore per eccellenza. Ma è oltre i limiti delle regole che l'abilità dell'analista si manifesta. In silenzio egli fa tutte le sue osservazioni e deduzioni; altrettanto forse fanno i suoi avversari; ma la differenza nella portata delle indicazioni così ottenute non consiste tanto nella validità della deduzione quanto nella qualità dell'osservazione. Quel che è necessario sapere è che cosa si deve osservare. Il nostro giocatore non si pone limiti, né, per il fatto che il gioco è l'oggetto primo della sua concentrazione, egli manca di trarre deduzioni da fattori estranei alla partita. Scruta l'espressione del suo compagno, confrontandola attentamente con quella di tutti i suoi avversari.
Osserva il modo in cui ciascuno ordina le proprie carte, contando sovente un atout dopo l'altro e un punto dopo l'altro dalle occhiate che via via vi lanciano quelli che ne sono in possesso.
Nel corso del gioco non si lascia sfuggire le minime alterazioni dei volti, traendo le sue prime considerazioni in base al loro atteggiarsi ad espressioni di sicurezza, di sorpresa, di trionfo o di dispetto. Dal modo di raccogliere un'alzata giudica se la persona che la prende ha o no la possibilità di combinarne un'altra. Riconosce la carta che viene giocata per ingannare dal modo con cui essa viene gettata sul tavolo. Una parola buttata là per caso o pronunciata inavvertitamente; una carta caduta o scoperta accidentalmente che venga quindi nascosta con nervosismo o con indifferenza; il conteggio delle alzate, l'ordine in cui si succedono; imbarazzo, esitazione, prontezza o ansia - tutto serve alla sua percezione apparentemente intuitiva per trarre indicazioni sullo stato effettivo delle cose. Dopo che sono state giocate le prime due o tre mani, egli conosce alla perfezione le carte di cui ciascuno dispone, e da quel momento può buttar giù le sue seguendo un piano così preciso come se il resto della compagnia giocasse a carte scoperte. Il potere di analisi non dovrebbe essere confuso con la semplice ingegnosità; poiché mentre l'analista è necessariamente ingegnoso, l'uomo ingegnoso è sovente notevolmente incapace di analisi. La capacità di ricostruzione o di combinazione, attraverso cui si manifesta comunemente la ingegnosità, e alla quale i frenologi hanno assegnato (a torto, direi) un organo separato, considerandola una facoltà primordiale, è stata riscontrata tante volte in persone il cui livello intellettivo sfiorava - per il resto - l'idiozia, da attirare l'attenzione di tutti gli scrittori di psicologia. Tra le ingegnosità e l'abilità analitica esiste in effetti una differenza ancor più notevole di quella che corre fra la fantasia e l'immaginazione, benché di un genere strettamente analogo. Si constaterà difatti che l'uomo ingegnoso è sempre pieno di fantasia, mentre l'uomo veramente ricco di immaginazione non è mai altro che analitico."

                                                                                        E. A. Poe  

lunedì 17 settembre 2007

Il cuore rivelatore



"E' vero! Sono e sono sempre stato nervoso, molto, spaventosamente nervoso;
ma perche' dite che sono pazzo? La malattia ha acuito i miei sensi, ma non li ha
distrutti, non li ha soffocati. Particolarmente affinato era in me il senso
dell'udito. Udivo tutte le cose del cielo e della terra. E udivo anche molte
cose dell'inferno. Come puo' essere dunque che io sia pazzo? Ascoltatemi! E
osservate con quanta lucidita', con quanta calma io posso narrarvi per filo e
per segno tutto cio' che accadde.
 
E' impossibile dire come l'idea mi sia entrata per la prima volta nel cervello.
Ma non appena l'ebbi concepita mi ossessiono' notte e giorno. Scopo non ne
avevo. Odio neppure. Volevo bene al vecchio. Non mi aveva mai fatto del male.
Non mi aveva mai insultato. Non desideravo il suo oro. Credo fosse il suo
occhio! Si', fu proprio cosi'! Aveva l'occhio di un avvoltoio, un occhio
pallido, azzurro, coperto di una pellicola. Ogni volta che esso si posava su di
me il mio sangue si raggelava, e cosi' per gradi, oh, per gradi molto lenti, io
decisi di togliere la vita al vecchio, e sbarazzarmi cosi' per sempre di
quell'occhio.
 
Ora questo e' il punto. Voi mi credete pazzo, ma i pazzi non capiscono nulla,
mentre avreste dovuto vedere ME. Avreste dovuto vedere con quanta accortezza
procedetti, con quanta cautela, con quanta preveggenza, con quanta
dissimulazione mi misi all'opera! Mai fui cosi' gentile col vecchio come
durante la settimana prima che io l'uccidessi. E ogni sera, verso mezzanotte,
giravo il paletto della sua porta e aprivo l'uscio... oh, come piano! E poi,
una volta ottenuta un'apertura sufficiente perche' la mia testa potesse
passarvi, mettevo dentro una lanterna cieca, tutta chiusa, ben chiusa, in modo
che non ne uscisse nessuna luce, e poi spingevo innanzi il capo. Oh, avreste
riso nel vedere con quanta furberia lo insinuavo nell'apertura! Lo muovevo
lentamente, in modo da non disturbare il sonno del vecchio. Mi ci voleva un'ora
intiera per far passare tutta quanta la testa entro la fessura in modo da
poterlo vedere mentre giaceva sul letto. Ah! Un pazzo avrebbe agito con
altrettanta avvedutezza? Poi, quando tutta la mia testa era entrata nella
stanza, scoprivo la lanterna cautamente, oh, quanto cautamente, cautissimamente
(poiche' i cardini scricchiolavano) la scoprivo giusto quel tanto che mi
permetteva di far cadere un unico sottile raggio sull'occhio d'avvoltoio. E
questo feci per sette lunghe notti, esattamente ogni notte a mezzanotte, ma
trovavo l'occhio sempre chiuso, cosicche' mi era impossibile compiere la mia
opera, poiche' non era il vecchio che mi irritava ma il suo Occhio Maligno. E
ogni mattina, quando il giorno spuntava, entravo baldanzosamente nella stanza e
gli parlavo con audacia, chiamandolo per nome in tono cordiale, e gli chiedevo
come avesse trascorso la notte. Percio' capirete che avrebbe dovuto essere un
vecchio molto astuto per sospettare che ogni notte, a mezzanotte in punto, io
lo spiavo mentre egli dormiva. L'ottava sera fui piu' cauto del solito
nell'aprire la porta. Una lancetta da orologio dei minuti si muove piu'
rapidamente di quel che si muovesse la mia mano. Mai prima di quella sera avevo
SENTITO con tanta intensita' tutta la somma dei miei poteri e della mia
sagacia. Stentavo a trattenere la mia sensazione di trionfo. Pensare che io ero
li', ad aprire la porta a poco a poco, senza che egli neppure lontanamente
sospettasse le mie azioni o i miei pensieri segreti. Per poco non mi misi a
sogghignare, e forse egli mi intese, poiche' ad un tratto si mosse sul letto,
quasi risvegliato di soprassalto. Ma forse ora crederete che io arretrassi...
ma non fu cosi'. La sua stanza fittamente immersa nelle tenebre era nera come
la pece (poiche' le imposte erano saldamente chiuse e sprangate per timore dei
ladri): percio' ero certo che non mi potesse vedere nell'atto di aprire
l'uscio, e seguitai quindi a spingere la maniglia in avanti, sempre piu' in
avanti, senza esitazioni.
 
Gia' avevo messo dentro la testa, e stavo per aprire la lanterna, quando il mio
pollice scivolo' sul gancetto di metallo, e il vecchio balzo' a sedere sul
letto gridando: - Chi e' la'?
 
Rimasi perfettamente immobile e non proferii sillaba: durante un'ora intera non
mossi un solo muscolo, eppure in tutto quel tempo non lo intesi riadagiarsi.
Era sempre a sedere sul letto in ascolto... esattamente come avevo fatto io,
notte per notte, mentre ascoltavo gli orologi della morte rintoccare sulla
parete.
 
Infine avvertii un gemito sommesso, e compresi che era un gemito di terrore
mortale. Non era ne' un gemito di sofferenza ne' un gemito di dolore, oh, no!
Era l'ansito soffocato, contenuto, che si leva dal fondo dell'anima allorche'
questa e' sopraffatta dalla paura. Conoscevo bene quell'ansito. Piu' di una
volta, a mezzanotte in punto, quando l'universo intiero giaceva addormantato,
esso si e' levato dal mio petto, incupendo con i suoi echi spaventosi i terrori
che mi dilaniavano. Ripeto che lo conoscevo bene. Capivo quel che il vecchio
sentiva, e avevo pieta' di lui, benche' dentro di me sghignazzassi. Sapevo che
si era svegliato sin dal primo leggero rumore, allorche' si era rigirato nel
letto. Da quel momento i suoi timori non avevano fatto che crescere entro di
lui. Doveva aver tentato di giudicarli senza motivo, ma non gli era stato
possibile. Certo si era detto: "Deve essere semplicemente il vento nel
camino... oppure un topo che attraversa il pavimento", oppure: "forse soltanto
un grillo che ha trillato un'unica volta". Si', certo doveva essersi confortato
con queste supposizioni, ma doveva averle trovate tutte inutili. TUTTE INUTILI:
perche' la Morte, avvicinandosi a lui, era venuta avanzando entro la sua nera
ombra e aveva avviluppato la sua vittima. Ed era il lugubre influsso dell'ombra
invisibile che gli faceva sentire, benche' non potesse ne' udire ne' vedere,
che gli faceva SENTIRE la presenza della mia testa all'interno della stanza.
 
Dopo aver aspettato a lungo, con infinita pazienza, senza averlo udito
riadagiarsi, decisi di socchiudere, oh, appena appena, una sottilissima
fenditura nella lanterna. L'aprii dunque, non potete immaginare con quanta
cautela, sinche' un sottilissimo tenuissimo raggio, simile al filo di un ragno,
balzo' fuor della fenditura e cadde in pieno sull'occhio d'avvoltoio.
 
Era aperto, tutto aperto, completamente spalancato, e nel fissarlo la furia mi
invase. Lo vedevo distintamente, tutto di un azzurro opaco, con quell'odioso
velo che lo ricopriva e che faceva raggelare persino il midollo delle mie ossa;
ma non potevo vedere altro del vecchio, ne' della sua faccia, ne' del suo
corpo, poiche' avevo rivolto il raggio come per istinto proprio su quell'unico
maledetto punto.
 
E non vi ho forse detto che cio' che voi scambiate per pazzia altro non era che
una esasperazione dei miei sensi? Ebbene: ecco che ora le mie orecchie
percepirono un rumore sommesso, soffocato, veloce, simile a quello che fa un
orologio quando e' avvolto nel cotone. Anche QUEL suono, conoscevo. Era il
battito del cuore del vecchio. Questo aumento' il mio furore, allo stesso modo
che il rullare di un tamburo stimola il coraggio del soldato.
 
Ma anche allora mi trattenni e rimasi immobile. Respiravo appena. Tenevo la
lanterna ferma. Cercavo di vedere sino a che punto sarei riuscito a mantenere
immobile sull'occhio il raggio. Frattanto il tam-tam infernale del cuore
aumentava. Si faceva sempre piu' rapido e sempre piu' forte a ogni attimo. Il
terrore del vecchio DEVE essere stato infinito! Aumentava, ripeto, a ogni
istante! Mi seguite bene? Vi ho detto che sono nervoso: e' vero. E adesso in
quell'ora spenta e morta della notte, nel silenzio inverosimile di quella
vecchia casa, l'irreale rumore suscito' in me un terrore incontrollabile. E
tuttavia per altri lunghi minuti mi trattenni e restai immobile. Ma il battito
cresceva, cresceva! Mi parve che il cuore dovesse scoppiare. Ed ecco che una
nuova angoscia mi strinse: il rumore sarebbe stato inteso da qualche vicino!
L'ora del vecchio era giunta! Con un urlo insano feci scattare lo schermo della
lanterna e balzai nella stanza. Egli grido' una sola volta, una volta soltanto.
Immediatamente lo buttai a terra e gli gettai addosso il letto pesante. Allora
presi a sorridere lietamente, accorgendomi di averla fatta finita cosi' in
fretta. Ma per molti miuti il cuore seguito' a battere con un rumore soffocato.
Cio' pero' non mi turbava; nessuno poteva intenderlo di la' dalla parete.
Infine il rumore cesso'. Il vecchio era morto. Sollevai il letto ed esaminai il
cadavere. Si', era morto, morto stecchito. Posai una mano sul cuore e ve la
tenni per lunghi minuti. Non avvertii pulsazione alcuna. Il vecchio era morto
stecchito. Il suo occhio non mi avrebbe piu' ossessionato. Se ancora mi
giudicate pazzo, piu' non mi giudicherete tale quando vi avro' descritto tutti
gli accorgimenti e le precauzioni da me presi per occultare il cadavere. La
notte trascolorava rapidamente e io lavoravo in fretta e in silenzio. Per prima
cosa smembrai il corpo, gli spiccai il capo, le braccia e le gambe.
 
Divelsi quindi tre assi del pavimento della stanza e posai ogni cosa fra i
travicelli. Rimisi quindi a posto le tavole con tanta accuratezza, con tanta
astuzia, che nessun occhio umano, neppure il SUO, avrebbe potuto scorgere
alcunche' di sospetto. Non c'era da lavar via nulla, nessuna macchia di nessun
genere, nessuna traccia di sangue. Ero stato troppo guardingo per cadere in un
simile errore. Avevo raccolto tutto in un mastello... Ah! ah!
 
Quando ebbi sbrigata la mia bisogna, erano le quattro del mattino; ma ogni cosa
era ancora avvolta nelle tenebre come a mezzanotte. Non appena la campana cesso'
i suoi rintocchi intesi bussare all'uscio di strada. Scesi ad aprire col cuore
leggero: infatti che cosa avevo da temere, ORMAI? Entrarono tre uomini che si
presentarono con perfetta gentilezza come funzionari di polizia. Un vicino aveva
inteso un urlo durante la notte; aveva sospettato qualcosa di losco, aveva
riferito i propri sospetti alla questura locale, ed essi (i funzionari) avevano
avuto l'ordine di perquisire l'abitazione.
 
Sorrisi: CHE COSA avevo da temere, infatti? Pregai gli uomini di accomodarsi.
L'urlo, spiegai, era stato lanciato da me nel sonno. In quanto al vecchio era
partito per la campagna. Feci fare ai poliziotti il giro della casa. Li esortai
a cercare, a cercare BENE. Infine li condussi nela sua stanza. Mostrai loro i
suoi tesori, che erano in ordine e al sicuro. Nell'entusiasmo della mia
sicurezza portai nella stanza alcune seggiole e insistetti perche' sedessero LI'
a riposarsi dalle loro fatiche, mentre io, nella folle audacia del mio completo
trionfo, posai la mia seggiola proprio sul punto esatto sotto cui riposava il
cadavere della vittima.
 
I funzionari erano soddisfatti. I miei MODI li avevano convinti. Io ero
straordinariamente calmo. Gli uomini sedevano, e mentre io rispondevo
animatamente, essi discorrevano di argomenti familiari. Ma in breve mi sentii
impallidire e cominciai a desiderare in cuor mio che se ne andassero. La testa
mi doleva e mi sembrava che le orecchie mi rintronassero. Ma gli uomini
seguitarono a sedere e a chiacchierare. Il ronzio delle orecchie si fece piu'
distinto... Diveniva sempre piu' intenso, sempre piu' distinto: ripresi a
discorrere ancor piu' animatamente per sbarazzarmi di quella sensazione
sgradevole, ma essa continuava, e diventava anzi sempre piu' definita, finche'
mi accorsi che il rumore NON risuonava entro le mie orecchie.
 
Senza dubbio dovevo essere diventato PALLIDISSIMO, ma seguitavo a discorrere
sempre piu' animatamente, e alzando il tono della mia voce. Nondimeno il rumore
aumentava, e cosa potevo fare? ERA UN RUMORE SOMMESSO, SOFFOCATO, VELOCE;
ASSOMIGLIAVA MOLTISSIMO AL RUMORE CHE FA UN OROLOGIO QUANDO E'
AVVOLTO NEL COTONE. Ansimai: mi sentivo il fiato mozzo; e tuttavia i poliziotti
non lo avevano avvertito. Parlai ancora piu' in fretta, con irruenza ancora maggiore,
ma il rumore aumentava inesorabilmente. Mi alzai e presi a discutere di
sciocchezze, in tono di voce altissimo e gesticolando violentemente, ma il
rumore cresceva implacabile. Perche' non se ne andavano? Incominciai a
passeggiare innanzi e indietro a lunghi passi, quasiche' i discorsi di quegli
uomini mi avessero infuriato, ma il rumore cresceva, cresceva sempre. Oh, Dio!
Che cosa POTEVO fare? Schiumavo, vaneggiavo, bestemmiavo! Volsi di scatto la
seggiola su cui mi ero messo a sedere, la trascinai sulle tavole, ma il rumore
copriva ogni cosa aumentando continuamente. Si faceva sempre piu' forte, sempre
piu' forte, SEMPRE PIU' FORTE! E tuttavia gli uomini seguitavano a discorrere
piacevolmente, e sorridevano. Era mai possibile che non udissero? Dio
onnipotente! No, no! Certo che lo udivano! Sospettavano! Sapevano! Si beffavano
della mia disperazione! Questo pensai, e questo penso. Ma qualsiasi cosa era
meglio dell'angoscia mortale che mi attanagliava! Qualsiasi cosa era piu'
tollerabile di quella derisione! Non potevo piu' sopportare quei sorrisi
ipocriti! Compresi che dovevo urlare o altrimenti sarei morto! Ed ecco, ancora!
Ascoltate! Piu' forte! Piu' forte! Piu' forte! PIU' FORTE!
 
- Mascalzoni! - urlai, - smettetela di fingere! Confesso il delitto! Togliete
quelle tavole! Qui, qui! E' il battito del suo odioso cuore!"


                                                                                   E. A. Poe 

venerdì 14 settembre 2007

La maschera della morte rossa



"....Questa volta pero' alla pendola stavano
scoccando dodici colpi, e cosi' fu forse che piu' pensiero, con piu' tempo,
pote' insinuarsi nelle menti dei piu' riflessivi fra la turba dei baldorianti.
E questo fu forse anche il motivo per il quale prima che gli ultimi echi
dell'ultimo rintocco si perdettero e si smorzassero nel silenzio, piu' d'uno
tra la folla ebbe modo di avvertire la presenza di una figura mascherata che
sino a quel momento non aveva attratta l'attenzione di alcuno. Ed essendosi
rapidamente diffusa all'intorno in un sussurro la voce di questa nuova
presenza, si levo' alfine da tutta la compagnia un fremito, un mormorio,
dapprima di disapprovazione e di sorpresa... e infine di spavento, di orrore,
di disgusto.

In un'accolta di fantasmi quale io ho descritta e' facile immaginare che
un'apparizione normale non avrebbe certamente suscitato tanto scompiglio. In
realta' la licenza sfrenata di quella notte non aveva quasi limiti, ma la
figura in questione avrebbe superato in crudelta' fantastica lo stesso Erode, e
aveva persino oltrepassato i confini pure immensi della stravaganza del
principe. Anche i cuori degli esseri piu' sfrenati hanno corde che non possono
essere toccate senza che vibrino di emozione. Anche per gli esseri piu'
perduti, per i quali la vita e la morte sono ugualmente motivo di beffa,
esistono cose di cui non e' possibile beffarsi. Tutti gli astanti insomma
sentivano ormai acutamente che nel costume e nel portamento dello straniero non
vi erano ne' spirito ne' decenza. La figura era alta e scarna, e avvolta da
capo a piedi nei vestimenti della tomba. La maschera che ne nascondeva il viso
era talmente simile all'aspetto di un cadavere irrigidito che anche l'occhio
piu' attento avrebbe stentato a scoprire l'inganno. Eppure tutto cio' avrebbe
potuto essere sopportato, se non approvato, dai gaudenti forsennati che si
aggiravano per quelle sale: ma il travestimento aveva spinto tant'oltre la
sfrontatezza da assumere le sembianze della "morte rossa". Le sue vesti erano
intrise di SANGUE, e la sua vasta fronte e tutti i lineamenti della sua faccia
erano spruzzati dell'orrore scarlatto.

Allorche' gli occhi del principe Prospero caddero su questa spettrale immagine
(che con movimenti tardi e solenni, come per meglio sostenere il proprio ruolo,
si aggirava tra i danzatori) lo si vide contorcersi, a un primo momento, in un
lungo brivido forse di terrore, forse di disgusto; ma subito dopo la sua fronte
si invermiglio' di collera.
- Chi osa? - domando' con voce rauca ai cortigiani che lo attorniavano, - chi
osa insultarci con questa irrisione sacrilega? Prendetelo e smascheratelo,
affinche' possiamo sapere chi impiccheremo all'alba ai merli del nostro
castello!

Quando proferi' queste parole il principe Prospero si trovava nella stanza
turchina, ovvero la stanza orientale. Esse rimbombarono alte e chiare per tutte
le sette stanze, poiche' il principe era un uomo vigoroso e forte, e a un cenno
dela sua mano la musica si era taciuta.

Nella stanza turchina stava il principe, attorniato da un gruppo di cortigiani
pallidi. A tutta prima, non appena egli ebbe parlato, questo gruppo ebbe un
lieve moto irrompente in direzione dell'intruso, il quale in quell'attimo si
trovava pure vicino e ora con passo solenne e deciso si approssimava ancor piu'
al principe. Ma per un misterioso innominato terrore che l'aspetto pauroso
della maschera aveva ispirato a tutti i presenti, nessuno oso' stendere una
mano per afferrarla, cosicche' lo sconosciuto pote' passare a un metro di
distanza dalla persona del principe senza che alcuno lo trattenesse, e mentre
la folla, come colta da un unico subitaneo impulso, si ritraeva dal centro
delle stanze verso le pareti, egli prosegui' indisturbato nel proprio cammino,
ma sempre con quel passo maestoso e misurato che lo aveva distinto sin dal
primo momento, attraverso la stanza turchina a quella purpurea, dalla stanza
purpurea alla verde, dalla stanza verde alla stanza arancione, e poi alla
bianca, e da questa si spinse persino nella stanza violetta, prima che venisse
fatto un movimento risoluto per fermarlo. Fu allora pero' che il principe
Prospero, accecato di collera e vergognoso per la propria momentanea codardia,
si butto' precipitosamente attraverso le sei stanze, non seguito da alcuno,
causa il terrore mortale che aveva raggelato tutti quanti i presenti. Impugnava
alta sul capo una spada sguainata, e si era avvicinato, rapido, impetuoso, a
pochissimi passi dalla figura, retrocedente, quando questa, giunta
all'estremita' della stanza di velluto, si volse bruscamente e affronto' il
proprio inseguitore. Si intese un grido lacerante, e la spada si abbatte' in
uno sfavillio sul nero del tappeto, sopra il quale, un attimo dopo, cadde
prostrato nella morte il principe Prospero. Allora, raccogliendo in se' il
folle coraggio della disperazione, un gruppo di baldorianti si precipito' nella
stanza nera e afferro' il travestito, la cui alta figura stava eretta e
immobile entro l'ombra della pendola d'ebano, ma un gemito di indicibile orrore
usci' dai loro petti quando essi si accorsero che le vesti funerarie e la
maschera cadaverica che avevano strette con tanta violenta rudezza non
contenevano alcuna forma tangibile.

E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della "morte rossa" giunta
come un ladro nella notte, e a uno a uno i gaudenti giacquero nelle sale
irrorate di sangue delle loro gozzoviglie, e ciascuno mori' nell'atteggiamento
disperato in cui era caduto. E la vita della pendola d'ebano si estinse con
quella dell'ultimo dei baldorianti. E le fiamme dei tripodi si spensero. E
l'Oscurita', la Decomposizione e la Morte rossa regnarono indisturbate su
tutto." 
                                                                                        E. A. Poe