Essere
testimoni dei cambiamenti che la storia propone, ai quali l'umanità
si adatta a volte con fervore, altre con indolenza, come un bambino
che strascina i piedi convinto che il dentista sia una tortura, ma
consapevole di non poterlo evitare, è affascinante e lascia
sicuramente dietro sé una scia di riflessioni, pensieri, profondità
che difficilmente possono essere spazzate via ed archiviate come
ordinarie.
Una
delle persone che più stimo, spesso mi ricorda come la sconvolga il
vedere la maggior parte degli individui rimanere interdetti di fronte
al mutamento, davanti all'evoluzione e come
sia assurdo che non riescano a rendersi conto che "la Storia è
sempre la stessa", che si ripete: cambia lo scenario, cambiano i
protagonisti, si modificano le interazioni
o i metodi o gli stili, ma la trama è la medesima. Così sorge
spontaneo e naturale domandarsi quante altre volte dovrà succedere,
in quanti anni ancora dovremo rivivere atti identici
prima di capirlo, prima di adattarci.
Per
adattamento intendo "l'insieme dei processi che producono
mutamento negli aspetti metabolici, fisiologici e comportamentali che
consente di dominare la realtà", di conformarsi al - e
mantenersi nel - ambiente in cui si vive.
L'adattamento
e quindi l'evoluzione, non sono un processo passivo ed individuale,
bensì attivo, transgenerazionale e culturale, basato sullo scambio
più o meno conscio di abilità e conoscenze
sperimentate dall'umanità stessa. Questo meccanismo che non cessa
mai di ruotare e lavorare è strettamente collegato e stimolato
dall'ambito esterno in cui è inserito. Lo sviluppo che ne consegue è
quindi una sorta di summa dell'esigenze che ci si propongono, in
quanto esseri umani, in quanto parte di un sistema ampio di individui
conviventi a contatto con la natura in un loop continuo ed incessante
di elaborazione; ciò che ci rende quello che siamo è
necessariamente connesso al contesto in cui siamo incastrati. In
questo senso la società risulta essere progetto e progettista al
tempo stesso: l'uomo si deve adattare all'ambiente che lo circonda
per sopravvivere, costituito dalla vita, da altri esseri umani con
diverse urgenze, e questo non può che far di lui uno dei cooperatori
delle dinamiche di mutamento.
Eppure
ancora oggi questo concetto sembra esserci completamente estraneo, o
quasi. Difficilmente riusciamo a concepire la dissimile ma
sottilmente uguale condizione che ci accomuna. Difficilmente
riusciamo a renderci conto che il processo continua, va avanti e per
forza da un momento all'altro ne verremo travolti; continuiamo ad
opporci, con tutte le forze, gridando con più fiato riusciamo a
recuperare, lottando concretamente, a mani nude se necessario, pur di
intralciare, impedire, ostruire un movimento imprescindibile.
Ci
indigniamo e rifiutiamo, condannandoli come DIS-UMANI,
atti che hanno piagato
la
storia
con
dolore straziante: guerre,
discriminazioni, disuguaglianze, schiavismo, genocidi, torture,
totalitarismi, oppressione, intolleranza, indifferenza, ingiustizie,
ferite laceranti che sotto forme differenti si sono presentate e
ripresentate, e che, al contrario di quello che crediamo, vivono
ancora
apertamente
la nostra vita, passandoci appena accanto, o abbattendoci
in pieno.
Così
corriamo nei cinema ad assistere a spettaccoli raccapriccianti di
violenza, di razzismo, di odio pensando a quanto siano assurdi.
Ci
sembrano fatti accaduti così lontani da noi che non possono toccarci
in alcun modo.
Usciamo della sala, sconvolti, pesti, graffiati, e soffochiamo
lacrime pensando: "povera gente, cos'hanno dovuto passare, com'è
possibile che sia accaduto davvero.." e mentre ci immaginiamo
tutti come Madre Teresa di Calcutta, lanciamo un'occhiataccia
meschina e manesca al ragazzo indiano che ci offre una rosa. Il
giorno dopo, andando al supermercato, guarderemo con diffidenza
l'uomo senegalese
che prende il pane prima di noi, assicurandoci quasi schifati, che si
infili
bene il guanto prima di toccarlo,
premura che
non riserviamo a
noi stessi.
E poco dopo, entrando in posta, ci terremo a debita distanza dalla
signora col
burka
e ci domanderemo come può avere un conto corrente,
dei
soldi...E,
la
sera, prendendo un gelato in centro ci si rivolterà lo stomaco nel
vedere due ragazzi che si tengono per mano, passeggiando. E di fronte a torture inumane perpetue nel tempo, a sofferenze giornaliere proprio davanti ai nostri occhi - e ai nostri porti - gireremo la faccia dall'altra parte.
Assistiamo
quotidianamente a fenomeni che minano in maniera significativa
l'umanità e la civiltà che ci caratterizza. Episodi di violenza
inaudita, di distruzione, non rispetto della propria ed altrui vita.
Ho spesso la sensazione che tutto debba precipitare da un momento
all’altro, senza possibilità di risalita, senza uno spiraglio alla
fine del tunnel, senza una possibile via di fuga: ogni giorno i
media ci bombardano con notizie di attentati terroristici, violenti,
minacciosi e terrificanti, perché in fondo il loro mestiere lo sanno
fare bene.
Tutto
questo mi provoca una cascata intensa di ansie e preoccupazioni, e
penso; penso che per trovare una soluzione, prima di tutto bisogna
trovare il problema, capirne la radice, coglierne la vera origine.
Perché ragazzi che vivono in paesi occidentali ormai da molti anni,
che addirittura sono immigrati di seconda o terza generazione, che
sono nati in Francia, Germania, Italia, che hanno partecipato alla
vita comunitaria, che hanno avuto amicizie, amori, vite come molti
altri adolescenti o giovani, perché ad un certo punto sentono il
bisogno, la necessità, il desiderio di ferire quella che dovrebbe
essere la loro terra, il loro paese, la loro città? Penso e ripenso,
e mi viene in mente che forse qualcosa ha fallito, che forse non è
andato tutto per il verso giusto, che abbiamo sbagliato ad un certo
punto ed abbiamo compromesso la riuscita.
Forse
per questi ragazzi non è la loro terra, il loro paese, la loro
città, forse non si sono sentiti inclusi, parte, cooperatori di un
sistema unico.
La
questione che più mi tocca nel profondo, che mi fa contorcere la
mente è il domandarmi perché non è un fatto di primaria urgenza;
perché il primo punto all’ordine del giorno di ogni governo non è
domandarsi cosa nel sistema ha fallito, quale parte non ha funzionato
come si deve, cosa ha generato una reazione tale. Mettersi in
discussione, aprirsi ad un confronto ad un’analisi non sembra
essere una soluzione, l’unica reazione possibile, l’unica
reazione voluta è quella violenta, di guerra, di impedimenti, di
leggi e prese di posizione fatte per creare e generare ancora più odio e discriminazione.
Ho trent'anni e sono spaventata dal futuro.
Questioni minute, di ogni giorno,
liti, pestaggi, insulti, razzismo, addirittura venerazione alla luce
del sole di ciò che è proibito dalla legge – apologia di fascismo
– opposizione con ogni forza possibile alla democrazia e alla
libertà di espressione: spesso mi domando perché dobbiamo
necessariamente impedire a qualcuno di essere felice o di avere la
felicità che abbiamo noi, senza un motivo apparente; come posso
giustificare a me stesso e alla mia coscienza il fatto che io posso
essere felice e sentirmi libero di essere come mi sento ma che questo
non deve e non può essere condiviso da chi non è come me? Cosa
succederebbe se domani si invertisse la situazione?
Questioni enormi, globali, guerre,
distruzione, un pianeta che ci sentiamo in diritto di poter
annientare ed una superficialità generale che ci coinvolge tutti.
Per tutto questo e per molto altro oggi mi sento di fare qualcosa, una piccola cosa, ma che determina una presa di posizione e per una volta, concretamente, il tener fermo lo sguardo su quello che sta accadendo davanti ai miei occhi.