"Il
sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti
i piaceri a riempirci l'animo, e la tendenza nostra verso un infinito
che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e
più materiale che spirituale. L'anima umana (e così tutti gli
esseri viventi) desidera sempre essenzialmente e mira unicamente,
benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che
considerandola bene, è tutt'uno col piacere. Questo desiderio e
questa tendenza non ha limiti, perch'è ingenita o congenita
coll'esistenza e perciò non può aver fine in questo o quel piacere
che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non
ha limiti: 1. né per durata; 2. né per estensione. Quindi non ci
può essere nessun piacere che uguagli: 1. né la sua durata, perché
nessun piacere è eterno 2. né la sua estensione, perché nessun
piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista
limitatamente, e tutto abbia confini, e sia circoscritto. Il detto
desiderio del piacere non ha limiti per durata, perché, come ho
detto non finisce_se non coll'esistenza, e quindi l'uomo non
esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti per
estensione perch'è sostanziale in noi, non come desiderio di uno o
più piaceri, ma come desiderio del piacere. Ora una tal natura porta
con se materialmente l'infinità, perché ogni piacere è
circoscritto, ma non il piacere, la cui estensione èindeterminata, e
l'anima amando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta
l'estensione immagina-bile di questo sentimento, senza poterla neppur
concepire, perché non si può formare idea chiara di una cosa
ch'ella desidera illimitata. Veniamo alle conseguenze. Se tu desideri
un cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo e come un tal
piacere, ma in fatti lo desideri come piacere astratto e illimitato.
Quando giungi a possedere il cavallo, trovi un piacere
necessariamente circoscritto e senti un vuoto nell'anima, perché
quel desiderio che tu avevi effettivamente non resta pago. Se anche
fosse possibile che restasse pago per estensione, non potrebbe per
durata, perché la natura delle cose porta ancora che niente sia
eterno. [...] Quindi potrete facilmente concepire come il piacere sia
cosa vanissima sempre, del che ci facciamo tanta maraviglia, come se
ciò venisse da una sua natura particolare, quando il dolore la noia
ec. non hanno questa qualità. Il fatto è che quando l'anima
desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo
desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non un tal
piacere; ora nel fatto trovando un piacere particolare, e non
astratto, e che comprenda tutta l'estensione del piacere, ne segue
che il suo desiderio non essendo soddisfatto di gran lunga, il
piacere appena è piacere, perché non si tratta di una piccola ma di
una somma inferiorità al desiderio e oltracciò alla speranza. E
perciò tutti i piaceri debbono esser misti di dispiacere, come
proviamo, perché l'anima nell'ottenerli cerca avidamente quello che
non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la
soddisfazione di un desiderio illimitato. Veniamo alla inclinazione
dell'uomo all'infinito. Indipendentemente dal desiderio del piacere,
esiste nell'uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire
le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono.
Considerando la tendenza innata dell'uomo al piacere, è naturale che
la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni
della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di
questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non
esistano, e figurarseli infiniti: 1. in numero, 2. in durata, 3. in
estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà,
si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza,
le illusioni ec. Perciò non è maraviglia: 1. che la speranza sia
sempre maggior del bene; 2. che la felicità umana non possa
consistere se non nella immaginazione e nelle illusioni. Quindi
bisogna considerare la gran misericordia e il gran magistero della
natura, che da una parte non potendo spogliar l'uomo e nessun essere
vivente, dell'amor del piacere che è una conseguenza immediata e
quasi tutt'uno coll'amor proprio e della propria conservazione
necessario alla sussistenza delle cose, dall'altra parte non potendo
fornirli di piaceri reali infiniti, ha voluto supplire: 1. colle
illusioni, e di queste è stata loro liberalissima, e bisogna
considerarle come cose arbitrarie in natura, la quale poteva ben
farcene senza; 2. coll'immensa varietà acciocché l'uomo stanco o
disingannato di un piacere ricorresse all'altro, o anche disingannato
di tutti i piaceri fosse distratto e confuso dalla gran varietà
delle cose, ed anche non potesse così facilmente stancarsi di un
piacere, non avendo troppo tempo di fermarcisi, e di lasciarlo
logorare, e dall'altro canto non avesse troppo campo di riflettere
sulla incapacità di tutti i piaceri a soddisfarlo. Quindi deducete
le solite conseguenze della superiorità degli antichi sopra i
moderni in ordine alla felicità. 1. L'immaginazione come ho detto è
il primo fonte della felicità umana. Quanto più questa regnerà
nell'uomo, tanto più l'uomo sarà felice. Lo vediamo nei fanciulli.
Ma questa non può regnare senza l'ignoranza, almeno una certa
ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei
limiti e definizioni delle cose, circoscrive l'immaginazione. E
osservate che la facoltà immaginativa essendo spesse volte più
grande negl'istruiti che negl'ignoranti, non lo è in atto come in
potenza, e perciò operando molto più negl'ignoranti, li fa più
felici di quelli che da natura avrebbero sortito una fonte più
copiosa di piaceri. [...] Del resto il desiderio del piacere essendo
materialmente infinito in estensione (non solamente nell'uomo, ma in
ogni vivente), la pena dell'uomo nel provare un piacere è di veder
subito i limiti della sua estensione, i quali l'uomo non molto
profondo gli scorge solamente da presso. Quindi è manifesto: 1.
perché tutti i beni paiano bellissimi e sommi da lontano, e l'ignoto
sia più bello del noto; effetto della immaginazione determinato
dalla inclinazione della natura al piacere, effetto delle illusioni
voluto dalla natura. 2. Perché l'anima preferisca in poesia e da per
tutto, il bello aereo, le idee infinite. Stante la considerazione qui
sopra detta, l'anima deve naturalmente preferire agli altri quel
piacere ch'ella non può abbracciare. Di questo bello aereo, di
queste idee abbondavano gli antichi, abbondano i loro poeti, massime
iI più antico cioè Omero, abbondano i fanciulli, veramente Omerici
in questo, [...] gl'ignoranti ec. in somma la natura. La cognizione e
il sapere ne fa strage, e a noi riesce difficilissimo il provarne. La
malinconia, il sentimentale moderno, ec., perciò appunto sono così
dolci, perché immergono l'anima in un abisso di pensieri
indeterminati, de' quali non sa vedere il fondo né i contorni. [...]
Del rimanente, alle volte l'anima desidererà ed effettivamente
desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle
situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il desiderio
dell'infinito, perché allora in luogo della vista, lavora
l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L'anima s
immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella
torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si
figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per
tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario. Quindi il piacere
ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora nel vedere il cielo
ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come
chiamano. Al contrario la vastità e moltiplicità delle sensazioni
diletta moltissimo l'anima. Ne deducono ch'ella è nata per il grande
ec. Non è questa la ragione. Ma proviene da ciò, che la
moltiplicità delle sensazioni confonde l'anima, gl'impedisce di
vedere i confini di ciascheduna, toglie l'esaurimento subitaneo del
piacere, la fa errare d'un piacere in un altro, senza poterne
approfondare nessuno, e quindi si rassomiglia in certo modo a un
piacere infinito."
G. Leopardi
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